Chi comincia a praticare Kundalini Yoga non avrà potuto fare a meno di notare come prima cosa lo strano abbigliamento dell’istruttore, così diverso da quello degli altri insegnanti di yoga: abiti total white, spesso pelle di pecora al posto del tappetino e soprattutto la testa coperta da un turbante, anch’esso di solito bianco. Per quale motivo?
Si dice che il bianco sia il colore dell’aura, un colore che racchiude in sé tutti gli altri colori, e che per questo espanda e fortifichi il campo elettromagnetico. In effetti i colori hanno un significato in tutte le tradizioni e un potere che possiamo sperimentare facilmente su noi stessi, se proviamo a osservare come ci vestiamo quando abbiamo un certo stato d’animo e quando invece ne abbiamo un altro. O ancora, a osservare come ci fa sentire indossare un colore o indossarne un altro.
In molti yoga tradizionali ci si veste di bianco, oppure di arancione, a seconda del lignaggio, ma il turbante è un elemento che contraddistingue solo il Kundalini Yoga. E spesso, il turbante turba.
Il fatto è che non appartiene alla nostra cultura, perciò per noi può essere molto difficile approcciarlo con neutralità, senza pregiudizi. Fa parte della religione sikh, poiché Yogi Bhajan, il maestro che ha portato questa disciplina in Occidente, era sikh, ma ciò non significa che indossarlo abbia per forza una valenza religiosa.
I benefici del turbante
Il turbante, in certe situazioni, funziona alla grande: nel Kundalini Yoga si lavora moltissimo sul sistema nervoso e sul risveglio dell’energia sottile (kundalini, appunto), e il turbante aiuta a contenere e incanalare meglio questa energia, quindi evita o riduce il sorgere di mal di testa, capogiri, espansione incontrollata del prana, pressione che si alza improvvisamente. Per alcune tecniche, infatti, è caldamente consigliato (vedi ad esempio la meditazione per rafforzare la mente e il sistema immunitario). Può inoltre aiutare a sentirsi più concentrati (ossia meno distratti) e calmi, presenti a noi stessi, alla nostra interiorità, quando meditiamo o pratichiamo yoga.
Si dice inoltre che favorisca la concentrazione di energia nel Settimo Chakra (la corona, sulla cima della testa), che altrimenti andrebbe dispersa mantenendo i capelli sciolti, poiché se da un lato il turbante crea una piacevole pressione sulle ossa del cranio (una pressione di “contenimento”), dall’altra i capelli sono terminazioni nervose e funzionano come antenne che catalizzano l’energia del corpo.
Come fare il turbante
Il turbante consta di una striscia di tessuto in fibra naturale lunga almeno 3-4 metri, che si avvolge intorno alla testa fino a coprirla interamente. Chi ha i capelli lunghi li annoda in un nodo rishi (una sorta di cipollotto), gli uomini sulla cima della testa e le donne sulla fontanella posteriore del capo.
Esistono molti tutorial su YouTube per imparare a farlo, oppure chiedi al tuo insegnante di riferimento.

La mia esperienza
Nei primi tempi della mia pratica da allieva, quando era tutto una scoperta, ho cominciato a indossarlo di tanto in tanto, a lezione e anche a casa. Ma se per gli abiti bianchi avevo avvertito un effetto immediato, e quindi ho continuato a indossarli, per il turbante non è stato così. Anzi, proprio in prossimità del teacher training e dei miei primi corsi di yoga, ho quasi smesso di indossarlo.
Mi dava fastidio, mi indolenziva la testa e i capelli, e soprattutto non lo capivo. Non lo sentivo, non mi apparteneva. E di certo non volevo metterlo soltanto perché “nel Kundalini si fa così”, come chi segue delle regole solo perché esistono, senza mai metterle in dubbio o rifletterci sopra, e nemmeno escluderlo a priori senza pormi la questione.
Viene definito una “tecnologia“, come molte altre cose nel Kundalini, ma per me era qualcosa di eccessivo ed estraneo. Per quale motivo, poi, negli altri stili di yoga non se ne vedeva traccia??
Insegnando, ho cominciato però ad avvertire una differenza tra quando indossavo il turbante, o anche solo una semplice fascia, e quando invece non lo portavo. In effetti, ero più centrata.

Poi è accaduta un’esperienza energetica molto forte, seguita da altre nei mesi successivi, tra l’altro sempre quando non stavo praticando, che ha cambiato molte cose nel mio modo di sentire e di insegnare, di percepire e tenere il campo durante le lezioni o durante la mia sadhana.
Avvertivo un’interiorità così intensa, e rallentata, da lasciarmi stordita, in particolare ascoltare i mantra muoveva un’espansione che non avevo mai percepito così forte e prolungata. Da quel momento iniziai davvero a usare il turbante, perché sentivo che mi faceva stare meglio: mi conteneva, riportandomi a terra, permettendomi di tornare ad agire anche fuori, nel mondo, non solo dentro, nella mia parte più intima. Ne avevo finalmente sperimentato la reale efficacia.
L’esperienza è ciò che fa davvero evolvere, e ogni esperienza ti traghetta su diversi livelli di frequenza, in cui percepisci le cose in maniera sempre più sottile e profonda. Ogni volta ho avuto la sensazione che indossare il turbante mi proteggesse e mi contenesse, radicandomi e guidandomi verso il mio centro, in quel luogo di silenzio in cui è possibile connettersi a se stessi e all’altro. Per questo ho iniziato a indossarlo sempre, sia quando insegnavo sia quando praticavo a casa.
Ma poi sono trascorsi anni densi di pratica, e nel tempo ho iniziato a sentirmi stabile e in grado di gestire l’energia che si muoveva in me praticando o insegnando. Ovvero l’avevo ormai integrata nel mio sistema, e mi sono resa conto che continuavo a indossare il turbante più per timore delle conseguenze che altro, come se fosse potuto succedere chissà cosa a non metterlo: invece non è successo nulla, perché il mio corpo e la mia mente avevano imparato a gestire quel flusso energetico più alto che i kriya stimolano.

Il mio punto di vista sul turbante quindi ora è questo: ne ho scoperto i benefici sulla mia pelle, ne ho compreso la reale funzione. Ne ho affrontato gli aspetti positivi e negativi. L’ho odiato e poi l’ho amato e poi semplicemente è diventato uno strumento, che alle volte può essere prezioso e alle volte no. Ho sviluppato insomma un approccio neutrale, senza dogmi e senza pregiudizi, che mi rende molto serena e consapevole dei momenti in cui avverto il bisogno di utilizzarlo e di quelli invece in cui non è necessario.
Il dogmatismo non mi appartiene. Sono convinta che avere il coraggio di sperimentare qualcosa, sia iniziando a farlo sia abbandonandolo, sia un’occasione per evolvere. Perché solo l’esperienza è il maestro, non quello che un altro insegnante o i tuoi compagni ti dicono.
Quindi, se vuoi un consiglio, indossa il turbante se e finché ne avverti i benefici; mollalo tranquillamente se senti che la tua pratica non ne risente. Io non lo rinnego, lo indosso quando ho mal di testa o se faccio un trekking, e lo consiglio alle persone che sentono picchi energetici molto forti. Ma questo non vuol dire indossarlo per sempre e a prescindere: il tuo sistema si fortificherà per contenere e gestire da solo la tua energia (lo yoga serve proprio a questo!), perciò ascoltati, sperimenta, e non lasciarti ingabbiare da nuovi recinti, da nuovi condizionamenti. Be free.
Sat Nam